Truffaut amava la femminilità

Immagine della locandina del film (dal web)

INDICE DEI CONTENUTI

Per apprezzare (e comprendere) fino in fondo il film L’uomo che amava le donne bisogna aver avuto molte donne, masticare qualcosa di cinema e – possibilmente – aver passato i 35, se non i 40 anni. Il Tempo è il grande distillatore, fa venire fuori l’essenza dei fatti della vita nonostante la presenza deformante dei filtri della nostalgia.

Un film incompreso

Il 6 febbraio del 1932 nasceva il regista François Truffaut, mancato prematuramente nel 1984. Lo vogliamo “omaggiare” parlando proprio di uno dei suoi film più belli, dolorosamente poetici e meno compresi di sempre: L’uomo che amava le donne. Devo avvertirvi che ci sarà lo spoiler, ma il finale è all’inizio, quindi già in questo si vede il genio di Truffaut.

Questo blog – fedele alla propria linea di laboratorio sperimentale – vuole offrire la propria chiave di lettura, appunto senza filtri della nostalgia, se non altro perché eravamo tutti noi del GD troppo piccoli – se non addirittura in fasce – nel 1979 quando questo film arrivò nelle sale.

A proposito di tempi e abitudini che cambiano, chiariamo immediatamente un punto: quello dell’approccio a freddo (o similari) su strada. Oggi le femministe ti manderebbero davanti alla Corte Marziale, allora era la normalità per un uomo di farsi avanti. Quindi il protagonista non va giudicato con gli occhi di oggi, ovvero come un “allupato“: il rincorrere, anche per strada, lo svolazzare delle gonne va visto come un atto metaforico, con grandi significati simbolici.

Non a caso, Bertrande Morane – l’ingegnere ultraquarantenne protagonista di questo film, interpretato da Charles Denner in stato di grazia – non è affatto un “molestatore”: lui si propone con stile, lasciando poi il cerino acceso nelle mani della donna di turno. Un punto talmente importante da meritare una scena del film in cui il protagonista dice esplicitamente: “Odio i pappagalli“. Ovvero – per chi non fosse addentro a questo slang – i viscidi allupati che ripetono a tutte le donne le stesse formule cerimoniose (come pappagalli, appunto), che credono che provarci a ripetizione con 10 mila possa darti più probabilità di riuscita, che bisogna provarci con una donna sempre e comunque e altre bislaccherie simili. In pratica, la versione dal vivo dell’odierno ludopatico su Tinder o sui social che contribuisce – insieme ad altri fattori – alla costruzione di alti piedistalli sui quali la principessa di turno si accomoda.

La donna che sceglie attivamente

Qui Truffaut segna il primo punto: lui racconta una donna sensuale e femminile ma mai volgare, che sceglie attivamente il proprio uomo. E’ un elemento di tanti film del regista, che – scriveva La Repubblica nel 1990 (sic) – “hanno in comune che è la donna a prendere l’ iniziativa senza perdere la propria femminilità”. Il secondo punto è nel fatto che la donna possa scegliere un uomo non necessariamente bello, “vincente” o dal fascino irresistibile. Per sottolineare questo aspetto, la scelta artistica del regista francese cadde appunto su Denner e non invece su Alain Delon, ovvero l’archetipo assoluto del bello e dannato in Europa.

Denner (a sinistra) e Truffaut sul set del film (immagine presa da Facebook)

Denner aveva un viso molto particolare con uno sguardo introverso, era quasi una maschera con il naso aquilino e i tratti marcati. Eppure quel viso aveva un quid che seduceva le donne (ovvero la varietà, ciò che oggi i social hanno definitivamente cancellato, imponendo modelli costruiti in serie come robot). Impossibile non trovare – nonostante le smentite del sempre riservato Truffaut – riflessi autobiografici: il regista non era un uomo oggettivamente bello ma – a sentire i resoconti dell’epoca – tremendamente affascinante, con una fama da implacabile tombeaur de femmes. Il fascino dell’intellettuale, si potrebbe aggiungere, andato perso in Italia proprio per la decadenza di questa figura, soppiantata dal ricco, sbruffone e possibilmente cafone. Il mitico bauscia milanese interpretato da Guido Nicheli anticipava antropologicamente – seppur oltre le proprie intenzioni – l’attuale tamarro tatuato con lacci d’oro al collo e il piglio da bullo di periferia.

Riflessi autobiografici

Torniamo al film di Truffaut. Bertrande Morane si è trasferito da anni a Montpellier (pur essendo parigino), segno zodiacale Acquario (come il regista, altro riflesso autobiografico), sostanzialmente un solitario in pace con se stesso ma con una passione tanto verace quanto certosina per le donne. E’ attratto, in maniera viscerale, dalle gambe femminili, da lui definite “dei compassi che misurano il globo terrestre in tutti i sensi, dandogli il suo equilibrio e la sua armonia“.

Il film si apre con la scena del funerale di Bertrande, a cui partecipano solo donne, tutte sue ex. Voce narrante di questa scena è proprio l’ultima fiamma. Si tratta di Geneviéve Bigey, collaboratrice di punta della casa editrice Bétany da lui conosciuta quando l’ingegnere aveva deciso di scrivere un libro sulle proprie avventure sentimentali. Decisione, tra l’altro (e qui parte il flashback che riporta la linea narrativa all’inizio), scaturita in seguito ad un due di picche bruciante avuto da una cougar 41enne, Hèléne, amante dei giovani under 30.

La stesura del libro quindi è il filo conduttore del film perché permette di far rivivere al protagonista le proprie avventure narrandole in prima persona. I flirt e le relazioni vengono rievocate in una carrellata di ricordi, in cui c’è la dissimulata compiacenza negli “sforzi creativi” del protagonista di raggiungere l’oggetto dei propri desideri. Un impegno che, va ripetuto, è solo relativo alla fase iniziale, nella quale lui deve trovare il modo di proporsi: il resto – giustamente – lo fanno le donne.

Immersione nei ricordi

L’immersione nei ricordi è anche occasione di varie considerazioni che, a distanza di oltre 40 anni, conservano la loro carica di attualità. Tra tutte, quella sulla biancheria intima, emersa in un discorso con Hèléne (che appunto ha un negozio di lingerie). Lei loda la nuova moda del momento che vede sofisticati reggiseni con abbinate mutandine in pizzo, e per finire calze e reggicalze. “Si avrà un bel fare e dire – dice la cougar -, ma la donna sarà sempre la donna“. Bertrande a quel punto ricorda l’arrivo della minigonna: “Tutti gli uomini sembravano impazziti. La cosa mi aveva piuttosto allarmato. Avevo subito pensato: poiché ora non è più possibile salire più in alto, allora necessariamente bisognerà ridiscendere“. Un monito che deve far (ri)pensare.

L’antologia delle rievocazioni include vari tipi di rappresentanti del gentil sesso, tutte messe a nudo metaforicamente (Truffaut era sostanzialmente pudico) sia nelle loro contraddizioni che nei loro sfavillanti voli di irrazionalità emotiva (compresa l’inquietante psicopatica che tenta di uccidere il proprio marito). Il valore antropologico di queste descrizioni è ancor più apprezzabile con gli occhi di un over 40 che ha conosciuto il mondo femminile nordeuropeo.

Bertrande è un uomo che va per la propria strada

Lo stile di narrazione, appunto in prima persona da parte di Bertrande, è sempre disincantato, ma mantiene il giusto calore evocativo che lo pone – qui è il terzo punto segnato da Truffaut – fra un Casanova e un dongiovanni, ovvero gli archetipi opposti del libertinismo europeo. “Lei – gli dice proprio Geneviéve in una scena del film – non è un Casanova, non è un dongiovanni. Sa come la vedo io, nonostante la sua aria tenebrosa? Non cerca mai di apparire virile ad ogni costo“.

Il che è vero: il protagonista non insiste platealmente con nessuna e nemmeno si strugge in inutili malinconie quando una donna lo molla. Anzi, è spesso lui ad attuare quello che oggi viene definito ghosting, smettendo di rispondere alle lettere delle sue amanti.

Bertrande è il prototipo dell’uomo autonomo e senza ascetismi che va per la propria strada, non fermandosi in nessun legame duraturo. Un vero e proprio MGTOW, per dirla con l’acronimo inglese adottato anche dal linguaggio dell’androsfera italiana. “Mi piace stare solo – dichiara – e soprattutto amo leggere“. Casa sua è infatti piena di libri, e l’idea di scrivere un libro arriva ad essere paragonata al corrispondente maschile del parto per una donna.

Tramandare il pensiero

L’importanza della scrittura, sia come sistema di documentazione che di trasmissione del pensiero, è sottolineata in un dialogo fra Geneviéve e Bertrande:

Geneviéve: Il suo libro è una testimonianza delle relazioni uomo-donna del XX secolo. E’ consapevole che stanno mutando radicalmente?.
Bertrande: Sì, sì, per forza. Finora nell’amore c’è sempre stata una parte di gioco.
G: Ci sarà sempre una parte di gioco: stanno per cambiare le regole che lo conducono. I primi a sparire saranno senz’altro i rapporti di forza. Si giocherà ancora, ma alla pari.
B: Può darsi. A dire la verità non ho idee precise a riguardo.

Lo smarrimento dell’uomo è qui, genialmente rappresentato in questo dialogo franco, senza pretese assolute o perentorie. La forza del personaggio di Bertrande e del suo libro è proprio questa: il suo essere contraddittorio. Non è un eroe lineare, senza macchia e senza paura. Bertrande è un uomo, e come tale commette errori e non ha paura di mettersi a nudo nel proprio libro, arrivando persino a raccontare l’importanza del proprio rapporto (pessimo) con la madre nella formazione della propria concezione dei rapporti con l’altro sesso. Troppo semplice liquidare Truffaut accusandolo di aver rappresentato un uomo affetto dalla sindrome di Peter Pan. La classica accusa femminista è l’autoassolutorio guardare il dito che indica la luna, invece della luna stessa.

L’essere contraddittorio, e quindi spontaneo e sincero, da parte dell’ingegnere sarà proprio l’argomentazione grazie alla quale Geneviéve riuscirà ad imporsi sul comitato di lettura della casa editrice (non è difficile vedere in questi uomini grigi una metafora del pensiero stantio e conformista) e permetterà la pubblicazione de L’uomo che amava le donne, scelto come titolo al posto de Lo stallone indicato da Bertrande sulla bozza. Un altro, chiaro segno indicato dal regista verso il nuovo ruolo maschile di virilità svincolato dai retaggi machisti ma sicuramente non femminilizzato.

Le ripercussioni psicologiche di una grande storia

Il quarto punto colto da Truffaut riguarda la forza che può avere un grande amore e le sue ripercussioni a livello psicologico. Quando Bertrande incontra casualmente in un hotel parigino Vera, la donna della sua vita, ne viene fuori una scena in cui il protagonista supera se stesso nella mimica facciale con la quale tratteggia la profonda emozione di averla rivista. Entrambi in poche battute rievocano la loro storia, la mancata “sincronizzazione dell’amore” (il concetto è una mia sintesi, non viene mai usato questo termine), il dolore per la fine, soprattutto da parte di Bertrande, costretto a prendere psicofarmaci per elaborare il lutto della separazione, nonostante fosse stato lui stesso a propiziarla.

In realtà – è la sintesi del seduttore a Vera – avevo bisogno di una persona, di lei e non me ne rendevo conto. In un primo momento, l’ho amata senza saperlo e dopo ne fui cosciente. Ma per lei era finita“. Allo stesso tempo, seppur con gli occhi malinconici, l’ingegnere dice a Vera di non “avere nessun diritto ora di toccarla“. Davanti alle rimostranze della donna (“ti esprimi come il codice civile“), Bertrande è irremovibile: le loro vite hanno preso strade diverse, ed è giusto che continuino così. Non ha nessun senso rimanere amici.

Quell’incontro spinge il tenebroso seduttore a voler riprendere il romanzo, perché aveva parlato di tutte le donne, fuorché di Vera. E invece era proprio lei il convitato di pietra di tutta la narrazione, il fantasma che lo aveva accompagnato nel suo peregrinare gonna dopo gonna. E’ tuttavia Geneviéve a fermarlo: il romanzo va bene come è, se vuole ne può scrivere un altro dedicato a Vera.

Borghesizzazione dei rapporti erotici

Nell’incontro successivo per rivedere i dettagli del romanzo in stampa, tocca a Geneviéve portarsi a letto il buon Bertrande. Lei gli spiega come fosse nato il desiderio di possederlo subito dopo averlo conosciuto, e di essersi accentuato questo sentimento dopo averlo visto andare a pranzo con la bozzettista della casa editrice. “E’ – spiega Geneviéve citando suo malgrado la teoria della preselezioneuna legge di Natura. Quando si vede qualcuno desiderare una persona su cui si sono fatti dei progetti, ciò aumenta la smania di quella persona“.

Quando lei lo riaccompagna all’aeroporto, nel loro ultimo abbraccio, Bertrande le mette una mano sul seno e le chiede se ha diritto di tenere la mano lì. “– è la risposta allegra -, ne hai diritto e faremo in modo che non diventi un dovere“. Una battuta che è di per sé un programma sociologico di critica verso la borghesizzazione dei rapporti erotici fra uomo e donna. Viene solo da chiedersi quanto siano state consapevoli certe “previsioni”, almeno guardandole con gli occhi di oggi. Difficile credere a coincidenze, per quanto suggestive.

L’impossibile felicità nella quantità

Tornato a Montpellier, Bertrande viene investito da un’auto mentre sta per attraversare la strada per seguire una donna. Portato in ospedale, in un momento di lucidità vede ancora una volta le gambe dell’infermiera e gli sarà fatale il tendere le braccia verso quei simboli erotici: il letto si rovescia, si stacca la flebo della trasfusione e per lui è la fine.

Eccoci quindi di nuovo alla scena iniziale, il funerale. Geneviéve – l’unica ad avere il quadro d’insieme delle avventure di Bertrande – diventa voce narrante e commenta – in un riuscito connubio di cambio di piani – la carrellata delle donne presenti. “Non c’è alcun dubbio – conclude – che a modo suo le abbia amate tutte per ciò che erano. Bertrand ha inseguito un’impossibile felicità nella quantità, perché abbiamo bisogno di cercare in tante persone ciò che la nostra educazione pretende di farci trovare in una sola“.

14 pensieri riguardo “Truffaut amava la femminilità

  1. Nella societa’ attuale e’ quasi vietato approcciare una donna per strada,ma bisogna andare nei locali a spendere soldi;poi e’ necessario avere il macchinone,la casa di proprieta’,casa al mare e/o in montagna.Ma tutto cio’ non basta ancora per poter avere il diritto di approcciare le donne,perche’ e’ necessario possedere “status”.Non sono assolutamente sarcastico,e anche se non ho avuto molte relazioni conosco bene la mentalita’ di molte donne (non tutte);molte son cresciute guardando programmi tv “spazzatura” e andando dietro alle mode del progresso capitalista,sentendosi in diritto di rifiutare/schifare solo alcune tipologie di uomini,privilegiando cosi’ solo le tipologie proposte dagli indegni mass-media.Le donne capiscano che non siamo tutti fortunati come i calciatori o i politici; i privilegi esistono solo per una minoranza di uomini,che guarda caso e’ privilegiata dalle donne che si concedono a loro.Concludo:posso liberamente scrivere che,ci son troppe donne con una mentalita’ superficiale e materialista;una delle cose piu’ crudeli che esistono,e’ la spietata selezione delle donne nei confronti degli uomini;questa spietata selezione avviene anche sui a-social network.E c’e’ chi ha il coraggio di parlare di progresso……ma quale progresso,ma quale liberta’……

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  2. Da Truffaut ai Muccino si può tracciare tutta la parabola decadente E del cinema E della socialità di coppia nel periodo pre-app.

    Le francesi ad ogni modo (in particolare le parigine) sono sempre state più “liberali” e meno ipocrite delle mediterranee. Merce pregiata e di complicato maneggio.

    Oggi in Italia l’ingegner Bertrande sarebbe un nerd puttaniere e potrebbe combinare ‘a gratis’ solamente con pseudoninfomani sovrappeso (colonne invece dei compassi) ‘sapiosessuali’.
    E Truffaut girerebbe “La prevalenza del cafone”.

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    1. @Nick the quick Sostanzialmente d’accordo su tutto.
      La forza di Truffaut è stata quella di gettare il cuore oltre l’ostacolo, in maniera induttiva: partiva dal caso particolare (il suo) per cercare di estrapolare regole generali, e addirittura di anticipare le tendenze. Il cinema attuale, almeno in Italia, ha preferito adagiarsi su posizioni politicamente corrette e di assecondarle. Una tradizione di salto sul carro del vincitore molto “italiana”.
      Sulle francesi, in particolare le parigine, sfondi una porta aperta.

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  3. “Ci sarà sempre una parte di gioco: stanno per cambiare le regole che lo conducono. I primi a sparire saranno senz’altro i rapporti di forza. Si giocherà ancora, ma alla pari”: in realtà è il contrario. Quando i ruoli erano separati, e c’erano doveri codificati per entrambe le parti, non c’erano rapporti di forza interni alla coppia, semmai questi venivano da fuori. È oggi che, senza ruoli, senza bisogni (lo Stato pensa a tutto), senza regole (se non “la donna ha sempre ragione”), il gioco è regolato unicamente dai rapporti di forza.
    Per chiarezza, non propongo un impossibile e grottesco ritorno al passato, rimane però il fatto che è la legge della giungla (vale a dire, la mancanza di leggi) a regolare i rapporti di coppia di oggi: Legum servi sumus ut liberi esse possimus, ci siamo liberati delle leggi per ritrovarci schiavi.

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  4. Il film, come il libro, descrivono una normalità ormai persa, dove un uomo “normale” e dotato d’intelletto ed un minimo di carisma, vive un rapporto paritario con il genere femminile e non di sudditanza. Nel 2021, come scrive qualcuno sopra, uno così avrebbe poco spazio nell’affollato pollaio italiota, non per il suo valore generale, ma perchè oscurato da dalla dilagante demenza femminile, oggi più attratta da tatuaggi di dubbio gusto estetico e da un modello maschile che anni fa era improponibile: il buzzurro con problemi con i verbi, alto, persino “panzuto”, con barba incolta, la solita camicia bianca che manco i ricottari usano più e fuori dai pantaloni a fare da diga allo stomaco, pacioccone e poco arguto, con il solito SUV a dimostrazione di un apparente benessere e sempre disponibile a dargli ragione in quanto fisicamente stanco ed intellettual
    mente impreparato a contraddirle, dato il suo dizionario composto al massimo da 50 vocaboli. Se ballerino di liscio o latino poi… il top per queste cerebrolese che al primo contatto chiedono solo: “quanto sei alto, se balli il latino, il segno zodiacale, se ami i cani ed il colore preferito”. Almeno una volta s’informavano su posizione sociale e finanze… ora pure questo è passato in secondo piano. Che generazione di fessacchione… e parlo di 50/65enni non di ragazzine.

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  5. Il film, come il libro, descrivono una normalità ormai persa, dove un uomo “normale” e dotato d’intelletto ed un minimo di carisma, vive un rapporto paritario con il genere femminile e non di sudditanza. Nel 2021, come scrive qualcuno sopra, uno così avrebbe poco spazio nell’affollato pollaio italiota, non per il suo valore generale, ma perchè oscurato dalla dilagante demenza femminile, oggi più attratta da tatuaggi di dubbio gusto estetico e da un modello maschile che anni fa era improponibile: il buzzurro con problemi con i verbi, alto, persino “panzuto”, con barba incolta, la solita camicia bianca che manco i ricottari usano più e fuori dai pantaloni a fare da diga allo stomaco, pacioccone e poco arguto, con il solito SUV a dimostrazione di un apparente benessere e sempre disponibile a dargli ragione in quanto fisicamente stanco ed intellettualmente impreparato a contraddirle, dato il suo dizionario composto al massimo da 50 vocaboli. Se ballerino di liscio o latino poi… il top per queste cerebrolese che al primo contatto chiedono solo: “quanto sei alto, se balli il latino, il segno zodiacale, se ami i cani ed il colore preferito”. Almeno una volta s’informavano su posizione sociale e finanze… ora pure questo è passato in secondo piano. Che generazione di fessacchione… e parlo di 50/65enni non di ragazzine.

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  6. Prima di tutto complimenti per il modo raffinato con cui vengono trattati gli argomenti oggetto del blog. E’ un piacere leggere articoli di questa fattura.

    “Bertrande a quel punto ricorda l’arrivo della minigonna: “Tutti gli uomini sembravano impazziti. La cosa mi aveva piuttosto allarmato. Avevo subito pensato: poiché ora non è più possibile salire più in alto, allora necessariamente bisognerà ridiscendere“. Un monito che deve far (ri)pensare.”

    Sì, direi illuminante. Potrebbe valere anche il contrario, ossia oggi che stiamo raggiungendo il fondo non possiamo poi che risalire, ma la vedo purtroppo una prospettiva ancora remota.

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    1. @Alessandro Grazie per le tue parole e benvenuto su questo blog. Dal tenore dei tuoi commenti e dal fatto che hai viaggiato/vissuto all’estero imparando altre lingue, sappi che sei arrivato nel posto giusto: GD nasce anche per persone come te. Chi è vissuto all’estero, chi è uscito dalla caverna platonica italiota ha un terzo occhio, un’esperienza e una lucidità che valgono dieci vite…

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  7. Che piacere è stato leggere questo vostro “vecchio” articolo, guarderà sicuramente il film (nonostante non abbia i requisiti richiesti all’inizio ahahah).
    La figura del protagonista, Bertrand, è odiernamente improponibile, un individuo culturalmente preparato e con carisma, un uomo che sa cosa sia il buon gusto.
    I ragazzi, di fronte, alle proprie fidanzate diventano tutti dei micetti, proni a qualsiasi loro desiderio, che siano le terme, il sushi oppure il solito viaggetto ad agosto (obbligatoriamente). Ovviamente le ragazze, dal conto loro, quando non basteranno più le cene fuori e i viaggi a Mykonos, cercheranno il solito tamarro come rimpiazzo per il bravo ragazzo.

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