Il problema non è la Ferragni, ma il suo archetipo

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Nulla esistenziale

Occuparsi di Chiara Ferragni, la regina delle influencer italiane partita su Netlog con il nickname “Diavoletta87”, è l’equivalente di scrivere del nulla esistenziale che affligge questa generazione (e non solo). Un nulla che lei ha, letteralmente, incarnato come nessun’altra.

Turiamoci il naso e ripercorriamo un po’ il personaggio, la sua parabola, perché lei è diventata l’influencer più potente d’Italia, in una narrazione di vita continuamente sotto i riflettori dei social, fino a scivolare sul Pandoro-gate.

Vale la pena perdere 10 minuti a leggere? Sì, perché al netto della necessaria impermeabilità maschile il personaggio di Ferragni, a modo suo, racconta molto del versante femminile nell’Italia contemporanea, specie sul fronte delle millennial e della GenZ. Più volte sui social del blog si è parlato di lei in modo estemporaneo anche attraverso i meme; questa volta lo si fa in modo organico.

Meme ispirato dallo scontro verbale fra D’Agostino e la madre della Ferragni – da https://www.instagram.com/galantuomo.dissacrante/?hl=it

È da rivedere, per pura curiosità da osservatori, lo scontro verbale nel 2019 tra Roberto D’Agostino – cioè Dagospia – e Marina Di Guardo, madre della Ferragni, la quale aveva sostenuto che sua figlia contribuisse a diffondere i valori della famiglia. “Ma che valori propone – aveva rintuzzato D’Agostino -, è una modella con delle belle gambe. È una nullità, non sa fare niente”.

Le ragioni del suo successo

Tante menti, decisamente più raffinate e istruite di chi scrive, hanno provato invano a capire questo fenomeno dei tempi correnti; eppure, pur attivando la sinapsi neuronale al massimo, non sono riusciti a cavare un ragno dal buco.

In sintesi, Ferragni non è bellissima (i filtri ingannano…); non ha particolari talenti (mostrarsi quasi nuda sui social non è un talento, a dispetto di ciò che si pensi); non ha un appeal da femme fatale o carica erotica (è proprio la classica figlia di papà di provincia, sempre perfettina e con manie di controllo ma non ha capacità espressive, nonostante la sua apparente solarità); non ha un carisma che buca lo schermo televisivo (come hanno altre, magari meno belle); non è un animale da palcoscenico (a Sanremo 2023 si è visto…); non sa nemmeno tenere la scena con i tempi televisivi (se persino il – da poco ex – marito Fedez gliela rubava, come appunto a Sanremo, qualche domanda se la dovrebbe fare).

Diavoletta87” in fondo se la canta e se la suona da sola da tanti anni davanti allo smartphone. Addirittura non ha mai rilasciato interviste con interlocutori che non fossero compiacenti oppure non ha mai partecipato a dibattiti dove tutti i suoi limiti sarebbero stati messi a nudo più di quanto faccia lei stessa con i suoi “outfit” in perizoma e reggiseno nella neve per risollevare l’engagement ai suoi post su Instagram.

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Forse tutto questo spiega il suo successo. Non eccelle in niente, sa provocare sui social, sa mettersi in mostra, ha fiutato per prima un nuovo trend e si è affidata, almeno nella prima fase, a consiglieri di marketing e di affari validissimi che l’hanno guidata nel proprio percorso nella costruzione di un personaggio e di un business in un campo ancora inesplorato.

La Ferragni in ogni italiana media

In “Diavoletta87” qualunque Concettina/Silvia può, in definitiva, identificarsi, quantomeno in proiezione.

Non è propriamente la ragazza della porta accanto; ma è quell’insipida liceale di provincia, viziata, snob e permalosissima, che porta a casa il suo 7 pieno in tutte le materie dopo aver studiato a memoria; flirta con i ragazzi giusti; coltiva i rapporti con le persone più “cool”; va alle feste che contano; è femminista “a convenienza” (cioè sposa sempre cause politicamente corrette con grande ritorno di immagine); fa un po’ la profumiera ma senza esagerare; sempre misurata da buona piccolo-borghese ma quando perde l’aplomb sembra fingersi “popolana”, o meglio finto-tamarra.

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Di “Chiare Ferragni” è piena l’Italia, non solo la Bassa Padana: questo è il vero dramma. Lei, la Chiara di Cremona, sempre provinciale al netto dei suoi insopportabili anglicismi (“so cute”), ha semplicemente imparato a dare una dimensione narrativa alla Ferragni che c’è in ogni italiana media.

Il Pandoro-gate

Veniamo ai giorni nostri. La Ferragni viene travolta a dicembre 2023 dalla vicenda del cosiddetto Pandoro-gate. L’Antitrust le infligge una sanzione, in totale, di oltre un milione di euro per pratica commerciale scorretta. La magistratura meneghina, su esposto del Codacons, apre un’inchiesta per il reato di truffa aggravato dalla minorata difesa su questa operazione (poi sono finite sotto i riflettori degli inquirenti anche altre analoghe vicende riguardanti la vendita di una bambola e quella delle uova di Pasqua).

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La regina delle influencer italiane per la prima volta perde follower (secondo l’Ansa, sia detto fra parentesi, il 23 febbraio sarebbe emersa, come ipotesi investigativa, anche quella di verificare la presenza di follower falsi o “acquistati” a pacchetti). Ne perde meno di quanto avrebbe dovuto (l’errore a monte è proprio “seguirla”); ma è una battuta d’arresto che, insieme alla valanga di commenti negativi sui social, fa crollare la sua credibilità e la sua capacità di fare da testimonial. Diverse aziende, fiutato il vento contrario, la mollano.

La sua difesa in prima battuta fa acqua da tutte le parti (con il famoso video in cui lei dichiara: “Ho fatto un errore di comunicazione”). In seconda battuta la sua strategia comunicativa, come un pugile suonato dai troppi colpi ricevuti, è quella siciliana – “Diavoletta87”, per parte materna, ha origini sicule – del “calati giunco finché c’è la piena, ma non ti spezzare”. Infatti sceglie di adottare un basso profilo social bloccando molti dei follower critici ma comincia a mostrare i denti alle aziende che interrompono accordi commerciali con la minaccia di portarle in tribunale.

Triplicazione di personalità

L’ultimo atto comunicativo, in ordine di tempo, è un’intervista al Corriere della Sera, pubblicata il 24 febbraio. Tralasciando il fatto che le domande sono più da psicologo – in versione amico comprensivo con la mano sulla spalla – che da giornalisti, la fashion blogger delinea la propria difesa: ribadisce la propria buona fede, il proprio essere “una brava ragazza” e le proprie fragilità (va di moda dichiararsi fragili).

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In un passaggio, poi, ha una vera e propria triplicazione di personalità. Davanti ad una constatazione degli intervistatori, cioè la sproporzione fra i 50 mila euro donati da Balocco all’ospedale torinese e il suo cachet da un milione di euro per la campagna promozionale, alla “bloggherina” (copyright Tomaso Trussardi) parte la supercazzola alla Amici miei:

Parlare di cachet è improprio, perché quella cifra è il compenso dato alle mie società per i miei diritti di immagine, per la promozione e l’intera operazione. Non si deve far confusione tra la persona fisica Chiara Ferragni, il brand e le aziende.

Aziende, va ricordato ai comuni mortali, di cui è amministratrice delegata e, quantomeno, socio di maggioranza.

La fanciullina dentro

C’è poi un altro punto, nemmeno tanto sottile, in questa intervista. “Diavoletta87” parla più volte dei suoi sogni da bambina (con tanto di foto da piccola con un peluche sul sito del Corriere) e della sua ingenuità (concetto che ribadisce più volte, quasi come fosse una scusante; eppure la legge non ammette ignoranza).

Nonostante assicuri di non voler fare la vittima, con la foto e con questi discorsi cerca di (re)suscitare tenerezza ed empatia verso di lei (le donne usufruiscono del c.d. Gender Empathy Gap, la differenza di empatia di genere, a maggior ragione nella società della spettacolarizzazione delle emozioni).

Questo riferimento alla “bambina” non è una novità e forse è materia per gli psicologi (sotto molti aspetti, lei incarna una sorta di “Barbie” in versione “eterna adolescente” così di moda nell’Italia del “non è mai troppo tardi”). Nel monologo a Sanremo 2023, infatti, lesse la letterina che lei aveva scritto a se stessa bambina.

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Probabilmente uno dei suoi punti deboli è proprio un ego tanto grande quanto fragile. Condizione che l’accomuna a tante donne di oggi, convinte dalla propaganda femminista di essere uniche e irripetibili, di avere una marcia in più in-quanto-donne e di avere un valore di gran lunga superiore a quello dei sacrificabili e vituperati “maschi”. Con un ego fiondato alle stelle, finire nelle stalle è un bagno di realtà e umiltà troppo duro da accettare per una donna oggi.

Ad ogni modo, secondo Dagospia (che ha finora sempre avuto le informazioni giuste sulla Ferragni), lei è, testuale, “completamente inetta sulla scelta di collaboratori con cui circondarsi negli affari”. In effetti il modo in cui la regina dei social è stata asfaltata proprio dai social e dall’onda lunga del sentimento negativo che ha generato rimane un caso di scuola allo studio degli esperti di marketing e comunicazione, i quali dovrebbero analizzare tutti i suoi errori per non ripeterli.

“Visibilità gratuitamente apportata”

Tutta questa digressione di psico-cronaca serve a giungere ad un punto dirimente, finora evidenziato con maggior enfasi da Moreno Pisto sul web-magazine Mowmag. Nel ricorso al Tar contro la sanzione dell’Antitrust, infatti, ci sarebbe un passaggio decisamente grave, in cui sembra emergere una visione distorta dei valori e delle priorità della vita reale. Scrive Pisto:

la Ferragni rivendica, al di là dell’iniziativa che non è andata bene, di aperte virgolette “aver donato all’ospedale torinese grazie alla sua immagine una visibilità gratuitamente apportata“. Chiara ma davvero stai parlando di bambini malati e rinfacci di aver dato visibilità gratuitamente? Non contenta continua che riaperte virgolette “la ripetuta menzione dell’ospedale nei post e nelle stories ha procurato all’ospedale una indubbia visibilità”.

Si tratta di un ricorso sicuramente rivisto e avallato da un team di avvocati e altri specialisti, eppure quel passaggio è di una insopportabile frivolezza mista ad un tocco di arroganza (ricorda il “Se non hanno più pane, che mangino brioche” attribuito a Maria Antonietta). Manca, inoltre, dell’empatia minima necessaria per una situazione così delicata.

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Come la gente non vive di visibilità, ma deve andare a fare la spesa per mangiare, così i bambini malati se ne fanno ben poco della visibilità di un ospedale. Pisto stesso ha notato che nessuno ricorda il nome dell’ospedale, e ha perfettamente ragione.

Siamo noi comuni mortali a non averci capito niente del potere “taumaturgico” della visibilità? Probabilmente sì, siamo limitati e poco “cute”. Ma rimane il fatto che le cure ospedaliere, le medicine e tutto ciò che può servire ad un centro sanitario hanno bisogno di denaro. Le fatture non si saldano con la visibilità data dalle storie su Instagram.

E la Ferragni lo sa bene perché, stando alle carte dell’inchiesta, quando doveva incassare da Balocco per aver fatto da testimonial all’iniziativa commerciale con risvolti di beneficenza, ha avuto un bonifico da un milione di euro (di conseguenza la visibilità non era nemmeno gratuita – come scritto anche dal Giornale, sebbene con meno enfasi), non certo un pagamento in visibilità sul sito aziendale o in natura con un carico di pandori griffati.

Ferragni è al capolinea?

Tutta questa vicenda porterà l’impero Ferragni alla fine?

Difficile fare previsioni serie. Però va ricordato che le inchieste giudiziarie, se portano ad un rinvio a giudizio e non vengono archiviate prima, hanno bisogno di tre gradi di giudizio per diventare definitive, nel bene e nel male. Quindi ci vogliono anni per stabilire una verità giudiziaria.

Meme dal profilo IG del blog https://www.instagram.com/galantuomo.dissacrante/?hl=it

Per la Ferragni ci saranno sicuramente grattacapi, ma ci sono gli avvocati che seguono l’iter giudiziario. A livello mediatico, lei negli ultimi post su Instagram sta pubblicando foto quasi sempre in compagnia delle sorelle, della madre e dei propri figli, sempre ostentati anche in precedenza nella narrazione quotidiana.

La Ferragni sembra ribadire il primato della (propria) famiglia, quasi si volesse riciclare – l’osservazione è del già citato Mowmag – come mom influencer. In un momento, peraltro, in cui la città di New York porta in tribunale i social network per i danni fatti alla salute mentale dei giovani della GenZ (e non solo a loro…), in particolare in termini di dipendenza. Vista da questa prospettiva, non sembrerebbe essere proprio una mossa così lungimirante.

Ad ogni modo, staremo a vedere cosa succede, se e quali errori commetterà. Sicuramente le sarà necessario un cambio di passo perché, per andare avanti come influencer o fashion blogger, “Diavoletta87” non potrà più essere quella che è stata fino a dicembre 2023.

Per quanto la sua figura abbia polarizzato gli italiani, sempre pronti a dividersi in guelfi e ghibellini, la regina delle influencer ha ancora alcune carte in mano da giocare:

Inoltre la gente ha la memoria corta, anche se in questo caso il coinvolgimento nel Pandoro-gate dei “bambini malati” non verrà mai digerito del tutto da chi la contesta e la contrasta a tutti i livelli.

L’archetipo della Ferragni

Eppure l’Italia non si libererà antropologicamente della Ferragni perché il problema non è lei, ma il prototipo di donna che lei rappresenta. Per parafrasare uno slogan di alcuni anni fa, c’è da preoccuparsi della Ferragni che c’è in ogni classe scolastica di ogni ordine e grado; di quella che c’è in ogni luogo di lavoro (dove gli alleati beta sono una piaga); di quella che c’è in ogni famiglia; e infine in quella che c’è, latente, in ogni essere femminile italiano.

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Tutte le sue lotte contro il presunto “patriarcato”, a favore del femminismo, delle donne e delle sigle omosessuali sono battaglie di convenienza politica dalle quali raccogliere dividendi sia social(i) che economici. La beneficenza è, in questo senso, anche uno strumento di marketing. La prova è nel fatto che lei, anche nell’ultima intervista sopracitata, la utilizza come una delle sue creme o degli outfit: per abbellirsi davanti a tutti.

Re Mida in perizoma

Per “Diavoletta87” popolarità fa rima con pubblicità. Il sentimento positivo (“positive vibes”), le file di tindagrammine disposte a spendere 8 euro per una bottiglietta d’acqua dedicata alla Ferragni, la capacità di “influenzare” ragazze e donne con troppi soldi rispetto al loro senso critico hanno consolidato la sua aurea da re Mida in perizoma.

Lei traccia il solco, le sue fan la seguono perché la Chiara della Bassa Padana – pur essendo di una famiglia benestante che l’ha sostenuta nelle sue scelte – vende loro il sogno di svoltare, di avere una vita da influenZer(o), di un’esistenza passata davanti a quello smartphone che è l’occhio del Grande Fratello così interiorizzato da tante italiane.

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Ferragni fa i soldi a colpi di selfie, di video con l’outfit abbinato, di storie su Instagram. Tutti strumenti che padroneggia benissimo per portare avanti la propria personale narrazione di donna artefice della propria fortuna. Stefano Feltri, tuttavia, ha ricordato che “tutto nel percorso della coppia Ferragnez è diventato un oggetto di consumo: la narrazione serviva a giustificare il product placement”, cioè la vendita di un prodotto.

Si ripete ancora una volta: lei fa il suo gioco (e ci guadagna), il problema è in chi la segue e le permette di avere questa influenza. Nel dire che Selvaggia Lucarelli “ha trasformato Ferragni in Wanna Marchi”, Marco Travaglio ha probabilmente messo il dito nella vera piaga, cioè la fine della credibilità del sogno della “bambina di Cremona”, dalle cui labbra pendono in troppe.

Il punto è che, prima di “Diavoletta87” (che, comunque vada, cadrà in piedi e non andrà a dormire in macchina come tanti padri separati), si dovrebbe svegliare tutta l’Italia, a partire da quella femminile persa irrimediabilmente in una bolla di frivolezza, di deresponsabilizzazione e di assenza di valori collettiva più unica che rara.

2 pensieri riguardo “Il problema non è la Ferragni, ma il suo archetipo

  1. Articolo superbo, l’analisi sociologica che avete fatto sul personaggio è perfetta.Come avete detto in conclusione peró, il problema non è lei ma l ‘ archetipo che rappresenta, nel quale ogni Concettina puó ritrovarsi.Io credo che per aversi un cambio di passo in questa nazione c’ è bisogno di qualche “ smottamento “ pesante, ad esempio :

    Decimazione del popolo maschile ( come accadde in Unione Sovietica nel dopoguerra)
    una “ vera” parità dei sessi, che probabilmente farebbe rendere conto alle femmine quanto sia difficile essere uomo in questo Paese( effettuando lavori nell’ edilizia ad esempio o con una magistratura imparziale)

    Risvegliare le menti torbide maschili credo sia un processo molto difficile, nonostante il preziosissimo lavoro di blog come questo.

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  2. personalmente penso che come influencer verrà drammaticamente ridimensionata. Ovviamente gran parte dei soldi finora incassati rimarranno suoi però i suoi store sono destinati tutti a chiudere, erano già abbastanza in crisi prima del pandoro gate.

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